La preoccupazione della maggioranza dei paesi europei è stata di non restare coinvolti dalla crisi greca. L’Italia, in più, si è atteggiata come quelli che cercano di nascondere la parentela con il familiare scapestrato.

La Germania e la maggioranza dell’Europa hanno cercato di rinviare le decisioni e di sottrarsi al dovere di solidarietà verso un paese dell’area euro in difficoltà e questo ha provocato un autentico disastro perché il denaro necessario oggi per impedire la bancarotta dello stato greco è cresciuto a dismisura, 130 miliardi di euro in 3 anni. Del resto quando la speculazione decide di aggredire non molla facilmente, così oggi il costo del salvataggio dello Stato greco è molto più alto. Ancora peggiore è il sacrificio che oggi viene chiesto ai greci e questo darà un colpo terribile alla coesione sociale del paese, come dimostrano le proteste. Il contagio si è allargato al Portogallo e potrebbe coinvolgere la Spagna. E non è detto che sia finita. Sarà un caso ma il collocamento dei titoli di stato italiani viene seguito con qualche apprensione.

Riassumendo la situazione.

1)Dalla crisi greca viene un serio colpo all’Euro e quindi a quel tanto di Europa economica fin qui costruita. Si dice che l’8 febbraio in una cena a Wall street i maggiori edge found (speculativi) abbiano deciso l’attacco all’euro. La Grecia,  considerata l’anello più debole, è entrata nel mirino. La parte più forte dell’Europa – Germania in testa – ha ignorato la portata dell’attacco della speculazione finanziaria, arrivando all’assurdo di ragionare di far uscire la Grecia dall’Euro. E’ come cacciare uno dall’ospedale perché si è ammalato.

Certo il precedente Governo greco ha imbrogliato ma la reazione tedesca è miope. Purtroppo avere ignorato l’esigenza di una politica economica europea, o almeno come ha chiesto Delors un suo coordinamento, e non avere creato istituzioni europee come il Ministro europeo dell’Economia ha indebolito la stessa moneta unica. La crisi ha fatto il resto ed è così emersa l’idea dell’ognun per sé: dalle politiche fiscali alle politiche economiche e di sviluppo. Qualcuno ha provato a calcolare il costo della crisi greca e delle sua conseguenze sui paesi più a rischio ed è arrivato alla cifra di 600 miliardi di euro: una voragine che si aggiunge a quella creata per salvare le banche.

2)Dalla crisi greca emerge che si è perso tempo nel mettere sotto controllo la speculazione finanziaria. Mettere sotto controllo vuol dire essenzialmente 3 cose: creare strutture di controllo e di governo dei mercati finanziari, almeno nella forma di decisioni e regole comuni a tutti i paesi; adottare regole di funzionamento dei mercati finanziari e meccanismi di controllo del loro rispetto, la Tobin tax sarebbe un tassello in questa direzione; decidere precisi divieti dell’uso di strumenti finanziari definiti da Warren Buffet come armi finanziarie di distruzione di massa.

All’apice della crisi finanziaria sono state spese parole, presi impegni ma poi non si è fatto nulla. Gli USA hanno fatto qualcosa di più sul fronte interno ma anche quello che hanno fatto, fino ad ora, è indebolito dall’assenza di un quadro mondiale di governo della finanza. Anche le regole suggerite dal gruppo di lavoro del Finacial stability forum non sono poi granchè, tranne quella di aumentare la capitalizzazione delle banche. Giusto, ma un po’ pochino. Forse per questo il G20 è stato così prodigo di elogi per i suggerimenti del FSF. Potevano essere condivisi senza grandi problemi da tutti.

E’ incomprensibile ad esempio non prevedere interventi verso le società di rating. Eppure già durante le crisi Enron, Parmalat, ecc. era emerso che il loro giudizio era corrotto e purtroppo la crisi greca ha visto ripetersi la farsa dei giudizi delle scocietà di rating presi a pretesto per organizzare la fuga dal debito pubblico greco. Perché mai società private, spesso legate a filo doppio alla speculazione, dovrebbero continuare ad essere il faro delle attività dei mercati finanziari ? Nella migliore delle ipotesi amplificano gli allarmi, nella peggiore li creano. Senza interventi volti a mettere sotto controllo la speculazione finanziaria, in modo da tagliarle le unghie, la Grecia è solo il preannuncio di altre crisi finanziarie.

3)Il timore che il crollo del sistema bancario potesse trascinare tutta l’economia nel baratro è stata la giustificazione degli interventi (in parte discutibili) decisi dai Governi nazionali e dalle banche centrali impegnando risorse enormi e aumentando il debito pubblico a dismisura. C’è chi ritiene che la Grecia sia la premessa per un prossimo attacco della speculazione agli USA che hanno accumulato un debito enorme. Il problema principale, da tempo, è organizzare una ripresa economica dell’insieme dei paesi coinvolti, tanto più nell’area euro. Invece ognuno continua a fare da sé, senza capire, ad esempio, che la crisi degli altri paesi significa caduta delle stesse possibilità di esportazione della Germania. L’interdipendenza è un fatto reale e non sparisce per il solo fatto che viene ignorata.

4)Poi c’è il problema di come ogni nazione si colloca nel quadro. L’Italia è momentaneamente al riparo perché per ora l’attacco coinvolge altri paesi, ma non è certo con la cabala di Tremonti che reggeremo la tempesta.

Cabala, perché Tremonti ha cercato di dimostrare che il debito della Gemania è maggiore del nostro, fingendo di dimenticare che ciò che conta è la % rispetto al PIL e mentre il debito italiano è cresciuto di quasi 10 punti percentuali in 2 anni quello tedesco è cresciuto solo di 8. L’Italia regge, per ora, perché il Governo non fa nulla, ma il debito cresce comunque (l’avanzo primario non esiste più) perché le entrate calano mentre le spese no e gli investimenti necessari vengono dichiarati ma non fatti. Così si affonda lentamente nelle sabbie dell’immobilismo, senza sottovalutare che si comincia a parlare di un aggiustamento nei conti pubblici che comincerà già quest’anno e non nel 2011 come si diceva prima. Una manovra restrittiva di almeno 10 miliardi di euro da fare a luglio.

5)La conclusione è che non si esce dal tunnel senza una politica economica alternativa, che rifiuti l’immobilismo tremontiano e, senza cadere nella spesa facile, affronti il problema di reperire le risorse indispensabili per uscire dalla crisi là dove esistono. C’è poco da fare. Senza coraggio e radicalità nelle scelte la parte più grande e più debole del nostro paese, come in Grecia, pagherà il prezzo più pesante.

Una ricerca di PwC e Università di Parma afferma che la ricchezza delle 640.000 famiglie italiane più ricche (con oltre 500.000 euro investiti in attività finanziarie) è cresciuta del 19% in piena crisi. In cifre: 53 miliardi di euro di ricchezza finanziaria in più. Forse un loro contributo per superare la crisi potrebbe essere chiesto, o no?

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